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GIOACCHINO DA FIORE VISTO DA “IL SOLE 24 ORE”

di Giuseppe  Riccardo  Succurro

Siamo un pò tutti gioachimiti. È l’incipit, nell’inserto culturale de “Il Sole 24 Ore”, della pagina dedicata a Gioacchino da Fiore e ai volumi pubblicati dal Centro internazionale di studi Gioachimiti nella collana “Opere di Gioacchino da Fiore: testi e strumenti”. Nella prestigiosa recensione, vengono segnalate le seguenti opere: Gioacchino da Fiore, Sulla vita e sulla regola di San Benedetto, testo critico e introduzione di Alexander Patschovsky. (Viella, Roma 2012). Il testo latino riproduce quello dell’edizione critica: Ioachim abbas Florensis, Tractatus in expositionem vite et regule beati Benedicti, pubblicato nel 2008 dal Centro Studi in coedizione con l’Istituto storico italiano per il Medio Evo di Roma. Gioacchino da Fiore, Esortazione agli Ebrei, Testo critico e introduzione di Alexander Patschovsky. Viella, Roma 2011. Il testo latino riproduce quello dell’edizione critica: Ioachim abbas Florensis, Exhortatorium Iudaeorum, pubblicato nel 2006 dal Centro Studi in coedizione con l’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo di Roma.  Roberto Rusconi, nella prefazione al Trattato sulla vita e sulla regola di San Benedetto, rileva che Gioacchino da Fiore è stato in primo luogo un monaco che aspirava a un ritorno al rigore ascetico delle origini benedettine e intendeva pertanto promuovere una radicale riforma dei Cistercensi, nel cui ordine era dapprima entrato. Filo conduttore delle riflessioni dell’abate florense furono la Vita di Benedetto da Norcia, delineata nei Dialogi di Papa Gregorio Magno, e la Regula attribuita al santo padre del monachesimo occidentale. In realtà Gioacchino non provvide mai alla stesura di un vero e proprio testo, radunando in forma di trattato una serie di esposizioni redatte verosimilmente negli anni in cui andava prendendo forma compiuta il suo sistema esegetico e teologico. Egli era comunque assai sensibile ai maggiori eventi dell’epoca. In particolare, anche nel suo caso una profonda impressione fu esercitata dalle notizie provenienti dal vicino Oriente, dove le armate del Saladino nel 1187 spazzarono via gli ultimi resti del Regno latino di Gerusalemme. Da tale evento Gioacchino trasse lo spunto per ricondurre le proprie argomentazioni all’elaborazione di una peculiare teologia della storia. Da un lato egli cercava negli avvenimenti un riscontro delle attese escatologiche fondate sul testo dell’Apocalisse. Dall’altro non poteva fare a meno di riportare le sue istanze di riforma del monachesimo benedettino al ruolo da lui assegnato ai monaci non solo nel tempo presente, ma soprattutto nell’età dello Spirito di cui attendeva l’avvento. Nell’introduzione alla Esortazione agli Ebrei, il curatore commenta che nel corso del medioevo l’atteggiamento dei cristiani nei confronti degli ebrei era fondamentalmente negativo e si esprimeva anche attraverso le opere di una letteratura antiebraica, al cui interno spiccavano i testi di un monaco cluniacense, l’abate Pietro il Venerabile, e di un convertito spagnolo, Pietro Alfonsi. Gioacchino da Fiore conosceva questi testi ed elaborò una posizione del tutto differente. Egli non si rivolgeva agli ebrei per convertirli, ma ai cristiani, per convincerli che con l’incarnazione di Gesù la storia del popolo di Israele non era finita. Nel futuro degli ultimi tempi della storia, che secondo l’Abate si stava avvicinando nei giorni in cui egli scriveva, gli ebrei e i gentili si sarebbero riuniti in un unico popolo di credenti. Questa visione, che non trovava precedenti né ebbe seguito, fu affidata a un testo in cui Gioacchino da Fiore accumulava e commentava ampiamente brani delle scritture sacre degli israeliti – il Vecchio testamento dei cristiani-, trovandovi la conferma della dottrina della Trinità e la prefigurazione dell’avvento del Messia nella persona del Cristo. In tutto questo egli affidava a se stesso un ruolo analogo a quello del profeta Elia e indirizzava ai suoi ascoltatori una       Esortazione a prepararsi ad accogliere insieme ebrei e cristiani alla fine della storia umana. Maria Bettetini, la studiosa gioachimita autrice dell’articolo, così conclude: “Gioacchino andò oltre la teologia storica di Agostino e segnò l’avvento di una Terza era di armonia, amore e pace. Con cristiani ed ebrei riuniti in un unico popolo di credenti”.