“L’Epifania tutte le feste porta via”, recita un antico detto e fin qui tutto va bene! Ma da un bel po’ di tempo a questa parte a San Giovanni in Fiore l’Epifania porta via anche centinaia di sangiovannesi, come dimostra la foto che Emilio Arnone ha scattato quest’anno, sul piazzale Simat, da dove sono partiti in un solo pomeriggio ben nove pullman di società varie con destinazione diverse, stracolmi di nostri paesani che lavorano nelle città del Nord Italia, ma anche all’estero, venuti a trascorrere le feste di Natale nel loro paese d’origine. Uno spettacolo triste che dovrebbe far riflettere tutti noi e in modo particolare chi governa il nostro Sud, che ha ripreso a spopolarsi come agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso. Ma quel tipo di emigrazione, se proprio la vogliamo dire tutta, era diversa di quella di oggi. Intanto era un’emigrazione provvisoria, perché partivano i capifamiglia per andare a guadagnare i soldi necessari per costruirsi una casa, per comprare un pezzo di terreno, per fare studiare i figli. E, così le famiglie continuavano a rimanere nel loro paese d’origine: i bambini andava a scuola da noi e le donne mandavano avanti la casa in attesa del ritorno dei maschi di casa. Oggi, invece, i giovani che partono e, sono la stragrande maggioranza, non torneranno più, in quanto avendo conseguito prima un diploma in loco e poi una laurea in una disciplina così “complicata” che trovare un lavoro a San Giovanni in Fiore è come cercare un ago nel fienile. Chi potrà mai assumere da noi un ingegnere informatico, un tecnico aerospaziale o un project manager, se l’unica fabbrica esistente, realizzata con tenacia e buona volontà da una famiglia di lavoratori seri, costruisce bare per defunti? L’amara constatazione è che migliaia di persone che portano un cognome sangiovannese e hanno origini silane, vivono sparpagliati nelle città del Nord Italia o nei grandi sobborghi di mezza Europa. “Se potessimo unire insieme questi nostri concittadini – sostiene un esperto di fenomeni demografici come il prof. Pietro Iaquinta, docente presso l’Università della Calabria, anche lui originario delle nostre parti – potremmo formare una città di almeno cinquantamila abitanti”. Ma è un sogno irrealizzabile.