Nel calendario della Chiesa Cattolica, alla data 30 marzo, ogni anno la Chiesa ricorda il beato Gioacchhino da Fiore, abate florense nato a Celico nel 1130 e morto a Fiore nel 1202, un riconoscimento che ai suoi “concittadini” gratifica dell’attesa di vedere sugli altari questo illustre personaggio vissuto nel Medioevo. Riportiamo quì appresso la scheda che Carmelo Ciccia ha scritto nell’emorologio per presentare questo Uomo di Dio, mentre al lato riproduciamo l’immaginetta diffusa nei primi anni del secolo scorso.
di Carmelo Ciccia
Gioacchino da Fiore nacque a Célico (Cosenza) intorno al 1130, da un’umile famiglia d’agricoltori o, secondo altri, da un notaio. Dopo aver visitato la Palestina, si fece frate cistercense e in seguito fu nominato abate. Tra i vari monasteri di cui fu ospite si ricorda l’abbazia di Casamari. In seguito ad una crisi spirituale, abbandonò l’ordine e dopo un periodo di eremitaggio fondò la congregazione florense, che prende titolo dal monastero di san Giovanni in Fiore, sulla Sila, dove ebbe sede, e che nel 1570 confluì nell’ordine dei cistercensi. Gioacchino morì intorno al 1202, secondo alcuni a Pietralta o Petrafitta, secondo altri a Corazzo o S. Martino di Canale o S. Giovanni in Fiore. La sua morte avvenne quando san Francesco, nella malattia della prigionia a Perugia, concepiva i primi germi della conversione tutta basata sul principio di povertà. A Gioacchino è attribuita la predizione degli ordini francescano e domenicano, nonché dei colori dei relativi abiti. Nell’ordine francescano si videro praticamente realizzate le aspettative di Gioacchino; e i francescani rigorosi (veri e propri gioachimiti) si dissero “spirituali” con tipico termine gioachimita dedotto dalla profezia relativa alla Terza Età, da lui detta “dello Spirito Santo”, un’Età di rigenerazione della Chiesa e della società, col ritorno alla primigenia povertà ed umiltà. Gioacchino da Fiore può essere definito monaco, abate, teologo, esegeta, apologeta, pensatore, riformatore, mistico, filosofo, veggente, asceta, profeta. Da un lato scriveva e predicava, dall’altro si macerava in incredibili penitenze. Nel 1215 il Concilio Lateranense IV condannò una sua opinione relativa al teologo Pietro Lombardo, ma salvaguardò la persona di Gioacchino, perché egli aveva ribadito più volte la sua adesione alla dottrina cattolica e aveva chiesto d’essere corretto dai suoi confratelli o dalla Chiesa stessa, ordinando che tutti i suoi scritti venissero sottoposti al vaglio della S. Sede e dichiarando di ritenere validi solo quelli che la Chiesa stessa avrebbe approvato. Fra le sue opere è molto importante il Liber figurarum, in cui egli spiega la dottrina cattolica per mezzo di figure simboliche (due delle quali — quella del drago a sette teste e quella dei tre cerchi trinitari — sono presentate in questo sito, accanto alla miniatura di Gioacchino con l’aureola di santo presente nel manoscritto Chigi A.VIII.231 della biblioteca vaticana). Tale Liber è notevole anche dal punto di vista artistico: lo stesso Gioacchino, infatti, fu ritenuto bravo pittore, tanto che sono attribuite a lui l’ideazione e la realizzazione dei mosaici della basilica veneziana di S. Marco. Subito dopo la sua morte, la vox populi lo proclamò santo e i seguaci inviarono alla S. Sede la documentazione dei numerosi miracoli, ora ripubblicati da Antonio Maria Adorisio. Ciò al fine d’avviare il processo di canonizzazione. Se da una parte la memoria della santità di Gioacchino fu inquinata da errate interpretazioni della sua dottrina, dovute sia ad avversari sia a seguaci troppo zelanti, nonché dall’attribuzione a lui di false profezie ed opinioni teologiche, dall’altra il papa Onorio III con una bolla del 1220 lo dichiarò perfettamente cattolico e ordinò che questa sentenza fosse divulgata nelle chiese. Il fervido culto popolare di Gioacchino da Fiore si diffuse presto a largo raggio. Dante Alighieri lo collocò fra i beati sapienti con queste parole: “E lucemi da lato / il calabrese abate Gioacchino / di spirito profetico dotato” (Par. XII). Inoltre Gioacchino è presentato col titolo di beato negli Acta Sanctorum compilati e pubblicati dai gesuiti bollandisti nel 1688, nonché in dizionari ed enciclopedie varie. E nel rituale dei monaci florensi esisteva la messa in onore del beato Gioacchino che veniva celebrata il 30 marzo (giorno della sua morte), il 29 maggio e in altre occasioni, come pure esisteva un’antifona dei vespri in cui si esaltava il suo spirito profetico (frase poi tradotta da Dante nella Divina Commedia). Ciò ha fatto sì che — a quanto scrivono Emidio De Felice e Orietta Sala nei loro dizionari d’onomastica — si deve al suo carisma la diffusione in Italia del nome personale Gioacchino. Le sue spoglie — di cui recentemente è stata fatta una ricognizione — si trovano nella cripta dell’abbazia di S. Giovanni in Fiore, comune che ha preso il nome proprio da tale abbazia. Nel 2001 l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano mons. Giuseppe Agostino ha riaperto il processo di canonizzazione per portare presto Gioacchino da Fiore alla piena gloria degli altari e — si ritiene — anche al titolo di “dottore della Chiesa”.