di Saverio Basile
In passato abbiamo avuto modo di scrivere, su questo giornale, che fuori dai confini del nostro paese esiste una popolazione di sangiovannesi che è esattamente il doppio di quella attualmente dimorante sulle montagne della Sila. È gente che ha cominciato ad emigrare agli inizi del secolo scorso spinta dal bisogno di trovare un lavoro dignitoso che potesse dare senso alla propria vita, garantendo – nello stesso tempo – un futuro migliore per i propri figli. E così in effetti è stato, perché molti di loro nell’Italia del nord, in Europa, ma soprattutto in America sono riusciti ad affermarsi nei diversi settori dove sono stati chiamati ad operare. Così abbiamo qualificati professionisti: imprenditori intelligenti e coraggiosi, politici affermati, burocrati capaci, finanzieri di vaglio e donne audaci che al pari degli uomini hanno raggiunto traguardi impensabili. Basti pensare alla folta colonia di emigrati sangiovannesi del West Virginia che, da sessant’anni a questa parte, determina la politica di quello Stato e così in Canada dove medici, avvocati, ingegneri, commercialisti e commercianti intraprendenti, portano un cognome prettamente sangiovannese. Mentre in Italia contiamo più di venti docenti universitari, una rispettabile quantità di imprenditori, un buon numero di medici specialisti e ancora diversi tecnici prestati alla burocrazia e, poi militari, sacerdoti e suore e tante persone impegnate nel sociale. È tutta gente che ha qualcosa da insegnarci. Perciò non perdiamoli di vista. Cominciamo a riconoscere i loro meriti e chissà che non possano fare qualcosa anche per il nostro paese. Facciamo tutto il possibile perché almeno una volta all’anno possano tornare nel paese che gli ha dato i natali o nel paese dove sono nati i propri genitori. Lo spunto di questo articolo me lo hanno dato Ricardo Pignanelli, capo del prestigioso Sindacato dei metalmeccanici dell’Argentina che firmò insieme a Sergio Marchionne la convenzione per l’insediamento della Fiat in quello Stato, il quale dopo una visita al Pontefice, di cui è amico personale, è voluto venire a San Giovanni in Fiore, paese di suo padre e, una volta individuata la casa in via Cognale, 8 si è inginocchiato davanti all’uscio baciando a ripetizione gli angoli esterni della costruzione. Ancora i fratelli Alain e Philippe Angotti, che un bel giorno di cinque anni fa, hanno portato nel nostro paese ben 84 discendenti di quel Antonio Angotti “fuggito” da San Giovanni e sbarcato in Tunisia prima di approdare in Francia. I figli e i nipoti di Antonio Angotti sono innamorati di questo nostro paese, proprio come il governatore Joe Manchin III che considerava tutti i sangiovannesi di cognome Mancina suoi cugini. E per ultimo mi ha stimolato a lanciare questo appello il gruppo di una ventina di americani che in questi giorni hanno visitato San Giovanni, fotografando ogni angolo della ruga dei nonni, quasi a voler costituire un reliquario di ricordi per dare un senso alle proprie radici.