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LA CALABRIA NELLA DIVINA COMMERDIA

UNA MOSTRA CHE HA FATTO TAPPA ANCHE A SAN GIOVANNI IN FIORE

Inizialmente programmata nel 2021 per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri e poi rinviata a causa dell’esplodere del Covid, ha avuto luogo quest’anno la mostra “La Calabria per Dante”. Progettata e finanziata dalla Regione Calabria, inclusa dalla stessa nei suoi più importanti eventi culturali per approfondire il legame tra la regione calabrese e il Sommo Poeta, è stata promossa e realizzata dall’ARPA, un’associazione che promuove attività culturali, artistiche, formative ed editoriali. Dopo i successi presso il castello di Carlo V a Crotone e al Museo dei Brettii e degli Enotri a Cosenza, dal 26 settembre al 6 ottobre scorsi la mostra ha fatto tappa a San Giovanni in Fiore nella sala espositiva del Museo Demologico presso il monastero florense. È scritto nel pannello illustrativo di presentazione della mostra: «Il rapporto tra Dante e la Calabria, apparentemente tenue e non occasionale, in effetti è molto più intenso di quello che potrebbe apparire. Oltre all’influsso riconosciuto del pensiero di Gioacchino da Fiore si narra – sia pure in assenza di riscontri storici puntuali – di una sua permanenza a Cerenzia». Il riferimento non è certamente al paese attuale, ma alla vecchia Acherentia, edificata su un timpone che domina la sottostante vallata. Qualcuno sostiene anche che qui Dante avrebbe trascorso parte dell’esilio e abbozzato, addirittura, il progetto della Divina Commedia». Ma siamo alla pura leggenda, perché non ci sono atti e testimoniane che dimostrino la sua venuta in Calabria. Il percorso della mostra si dipana attraverso pannelli espositivi, opera di Simonluca Spadanuda, aventi per lo più come sfondo le note tavole illustrative di Gustavo Dorè. Alcuni pannelli guidano alla scoperta dei luoghi calabresi citati da Dante nel poema: Cosenza, ricordata da Manfredi, il «biondo e bello» figlio naturale di Federico II di Svevia e «nipote di Costanza imperadrice», quando nel canto III del Purgatorio ricorda la sua tragica fine nella campagna di Benevento e il seppellimento «a lume spento» del suo corpo in terra sconsacrata a opera dell’arcivescovo della città bruzia Bartolomeo Pignatelli; Catona nella descrizione che un giovanissimo Carlo Martello d’Angiò fa dei confini del Regno di Napoli nell’VIII canto del Paradiso; Scilla, sulla costa calabrese dello Stretto di Messina, e il frangersi delle onde con Cariddi nel canto VII dell’Inferno. Altri pannelli, introdotti da quello su “Dante. La lingua e il dialetto”, «collegano mirabilmente la poesia di Dante agli usi conservati nella musica popolare calabrese» e a espressioni e termini tratti dal “Nuovo dizionario dialettale della Calabria” di Gerhard Rohlfs, che danno «la suggestione di un contributo della Calabria all’opera dantesca». Ma il riferimento più importante alla regione sono certamente i versi della celebre terzina del XII canto del Paradiso, quando Dante, attraverso san Bonaventura di Bagnoregio, decanta l’immensa e luminosa figura dell’abate silano: «… e lucemi da lato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato».