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ANTICHE TRADIZIONI CALABRESI: PASTA E CECI

NEL GIORNO DEI MORTI PER SODDISFARE LA FAME DEI PARENTI DEFUNTI

di ALESSIA LOPEZ

Le celebrazioni dei giorni dei Santi e dei Morti ricorrono non casualmente a inizio novembre, concretizzano una convergenza di aspetti religiosi e pagani e un coinvolgimento di pietanze specifiche. Paese che vai, usanza che trovi… quella del “ponte dei morti” porta con sé profili culinari molto simili tra le distinte aree geografiche, facendone da padrone la stagionalità dei prodotti. Campeggia in Calabria, soprattutto, in Sila, un piatto povero e nutrente, pasta, nello specifico le lagàne: antico formato delle tagliatelle, con ceci, citate dallo stesso Orazio nelle sue Satire. Secondo l’antica tradizione calabrese, bisognava cucinare in abbondanza le tagliatelle con i ceci, il c.d. “piatto del purgatorio”, per poi donarne un piatto a una persona bisognosa, per mezzo della quale sarebbe arrivato all’anima del caro defunto, perché in Calabria si mangia sempre “per l’anima dei morti”, l’antico retaggio si replica, infatti, con ossequiosa riverenza in occasione della dipartita di una persona. È una buona pratica sociale e morale imposta dal rigore risalente agli antichi Romani, che usavano i legumi per la commemorazione dei defunti, partendo dal presupposto che dal seme nasce il frutto e, quindi, la vita. I contadini lasciavano sulle tavole le zuppe dei ceci, consentendo alle anime dei morti, che facevano ritorno, di ristorarsi. Queste date erano strettamente legate alla cultura agreste. Si trattava di riti pagani, trasfusi dalla cultura celtica, che festeggiava la fioritura e il momento dormiente della natura in due periodi dell’anno, uno propiziatorio a maggio e l’altro di ringraziamento del buon racconto a fine ottobre. Il mondo dei morti non è stato mai venerato come scevro da quello dei vivi, ma in costante contatto, ed è per questo che la ciclicità della natura simboleggiò, nel mondo cristiano, il momento di ricongiunzione tra i vivi e i morti. L’usanza di pregare i fedeli defunti, in giorni diversi dai loro anniversari, con la speranza della loro resurrezione e della loro intercessione, era praticata già da Sant’Agostino. Fu ufficialmente istituita il 2 novembre, nel IX secolo, dall’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny. La scelta di ricordare i defunti il giorno seguente la solennità dei Santi, data stabilita nell’835 da papa Gregorio IV per ricordare i Santi Apostoli e tutti i Santi, come anniversario della consacrazione di una cappella di San Pietro – completò la visione di insieme, elaborata dalla Chiesa Cattolica, secondo la quale erano credenti in Cristo, sia quelli in cammino sulla Terra, sia quelli che vivevano nel Purgatorio e nel Paradiso. Attraverso quest’armonia, la Chiesa auspicò lo scambio dell’aiuto reciproco tra i due mondi, l’unità della fede e il compimento dell’amore. Nel conformismo commerciale di zucche vuote e poco illuminate, si perde, nonostante l’etimologia del temine Halloween – All (tutti) Hallow (santificare) Eve (vigilia) – rimandi alla sacralità della festa, l’autenticità della spiritualità preservata nel tempo dalla fusione del sacro e del pagano, ma che il mondo profano ha reso lugubre e orrenda.