di Saverio Basile
Se si fa eccezione per gli elefanti di Campana, nella Sila Greca, scoperti qualche anno fa da “La Repubblica” e fatti conoscere ad una vasta platea di lettori e di appassionati di fenomeni carsici, ai quali l’inviato del quotidiano milanese, ha raccontato le gesta di Annibale, che passò con i suoi soldati da queste contrade in tempi remoti, in groppa ai mammiferi proboscidati, ben poco o nulla si sa, dei “Megaliti della Sila” che pure sono ad un tiro di schioppo da Campana. Così, per molti, l’Altopiano Silano è fermo ancora alle conoscenze che si hanno della vastità delle sue foreste, nelle quali trovarono, in ogni tempo, rifugio i briganti o per lo splendore dei suoi laghi (sei invasi artificiali: Ampollino, Arvo, Cecita, Redisole, Savuto, Passante) costruiti dall’uomo a partire dagli anni Venti del secolo scorso). Da un po’ di tempo, però, gli interessi di esploratori o, semplici escursionisti, a cui piace andare per sentieri e valli alla scoperta di grotti basiliane o insediamenti florensi, di tombe ellenistiche o di quant’altro possa suscitare interesse, ha portato alla scoperta di due geo siti di straordinaria bellezza. Il primo è quello delle “Pietre del Melo”, in località Saltante, a cinque km da San Giovanni in Fiore, lungo l’ex SS 108 che collega il grosso centro silano con Savelli. Qui le strutture rocciose sono predisposte secondo un moderno sistema urbanistico, che mette in fila le “costruzioni” al riparo delle intemperie, ma nello stesso tempo bene esposte ai raggi del sole, tenendo conto, ovviamente, dello spazio-soggiorno in cui magari “prendere una boccata d’aria”. Un ricercatore attento come Vincenzo Nadile, vede in questi grandi massi di pietra la mano dell’uomo e ne nota addirittura le sembianze: gli occhi, la bocca, il naso e di conseguenza ribadisce di “non escludere la tesi del processo antropico sul territorio, con la costruzione di templi e luoghi sacri alle divinità di riferimento (la Dea Madre soprattutto, in popolazioni a carattere matriarcale)”. E così lascia alla fantasia degli sporadici visitatori il compito di “valutare e classificare quella che fu una grande civiltà, dove trovarono humus le ragioni del pensiero occidentale religioso, dopo gli spostamenti dalle terre di origine, a partire dalla metà del V millennio, fino all’età del ferro”. Il secondo geo sito è quello di Bonolegno, lungo le sponde del fiume Garga, sempre in agro di San Giovanni in Fiore. Qui il geologo Domenico Belcastro fa risalire la formazione di questi giganti di pietra granitica a milioni di anni fa. “Rappresentano la testimonianza di un processo naturale vecchio di 290 milioni di anni – afferma – e sono il risultato della risalita di un ingente volume di magma dal mantello terrestre attraverso le grandi fratture della crosta; la roccia fusa si è gradualmente solidificata all’interno della crosta stessa nello spazio di qualche milione d’anni, formando così, uno dei più grandi corpi magmatici intrusivi della Terra: il batolite granitico della Sila, di cui i tor (…termine norvegese che identifica tali megaliti svettanti) ne rappresentano un geo sito di straordinaria bellezza”. Anche se la maggior parte degli studiosi della materia sono convinti che nel periodo neolitico e protostorico questi siti furono abitati da misteriose popolazioni, attribuendo solo all’intervento umano (e non naturale) l’erezione di “monumenti” di pietra di quella grandezza. Ma se le leggende non sono storia, come si afferma, non possiamo neppure buttarle all’ortiche, così siamo portati a meditare sulla “Pietra dei Pizzi”, un masso granitico alto quanto una casa a due piani, perfettamente sfaccettato “all’interno del quale abitavano da sempre le Fate, impegnate dall’alba al tramonto nell’opera di tessitura della seta, usando un immaginario telaio realizzato nottetempo con legno di alcuni alberi di cannièdia (pioppo) che nella zona di Colle dei Fiori crescono frammisti ai pini. La cannièdia, specie in autunno, emana una luce simile a quella che emanano le lampade elettriche, sicché chiuse ermeticamente nell’interno del macigno, le Fate, riuscivano benissimo a lavorare. E gli scalpellini della Sila che avevano un grande rispetto e un certo timore per la grande Pietra dei Pizzi si limitavano a porgere l’orecchio sulla parete ruvida del granito per ascoltare il fruscio della seta, qua e là interrotto, dallo sbattere della navetta che finiva la sua folle corsa a ridosso del pettine del telaio”. Accertati i pareri scientifici e, lasciato il giusto spazio alla fantasia di chi crede ancora alle Fate, bisogna che qualcuno ora valuti l’importanza della protezione di questi siti conservati per milioni di anni e che ora l’uomo potrebbe distruggere per farne pietre d’angolo, come peraltro già avvenuto nel 1962, con la Pietra dei Pizzi, rimasta solo nella leggenda popolare. Il nostro invito è all’Università della Calabria e al Parco Nazionale della Sila, ognuno per le proprie competenze, perché i Megaliti della Sila sono un patrimonio dell’umanità che ognuno di noi ha il dovere di salvaguardare e conservare a futura memoria.
Nella foto di destra Vincenzo Nadile durante un sopralluogo in località Pietre del Melo.