UNA PRECISAZIONE DOVEROSA PER GLI STUDIOSI DELL’ARCHICENOBIO FLORENSE
di Riccardo Succurro *
Dobbiamo abituarci a denominare “Florense” l’Arco che per consuetudine viene definito “normanno”. Gioacchino da Fiore costruì a Jure Vetere la Domus Mater del suo nuovo ordine monastico, mentre la dinastia normanna era al tramonto. La località nella quale fu costruita l’ attuale Abbazia, invece, si chiamava “Faradomus” e fu donata a Gioacchino da Fiore dall’imperatore svevo Enrico VI ( figlio di Federico Barbarossa) nel 1194. L’abate di Fiore, dopo questa donazione vi costruì un oratorio provocando un aspro contenzioso con i monaci basiliani della vicina Patia; una lite che impedì la prosecuzione dei lavori. Dopo la morte di Gioacchino da Fiore, un violento incendio distrusse verso la fine del 1214 il Protomonastero di Jure Vetere. L’ abate Matteo, successore di Gioacchino, dopo un tentativo di ricostruzione, ottenne da papa Innocenzo III l’autorizzazione a costruire una nuova sede in un altro luogo meno freddo e più adatto alla vita monastica. I Florensi, confermando la scelta del loro fondatore, si spostarono di soli 5 km e restarono sui monti della Sila. Nella località FARADOMUS l’abate Matteo eresse l’attuale complesso abbaziale, probabilmente ampliando e consolidando la preesistente fabbrica monastica avviata da Gioacchino nel 1195. Il nuovo complesso fu ultimato entro il 1234 e conservò la denominazione di Monasterium Sancti Iohannis de Flore. Una vicenda che Federico II, concedendo ulteriori privilegi ed il diritto d’asilo al Monastero, riassunse così:” In primis locum ipsum qui nunc Flos, olim vero dictus est Faraclonus, in quo post combustionis infortunium Florense Monasterium non sine apostolice concessionis auctoritate mutatum est” (anzitutto lo stesso luogo che oggi si chiama Fiore e che un tempo si chiamava Faraclonus, presso il quale, a causa di un incendio, il Monastero florense fu trasferito, con il consenso della Sede apostolica). Una cinta muraria circondava l’Abbazia Florense: l’ ARCO FLORENSE e i resti di un altro arco rappresentano le vestigia ed il segno tangibile del periodo dell’abate Matteo, periodo nel quale il Meridione era governato dagli Svevi non più dai Normanni. Nella Platea del 1652 si fa riferimento ad “alcuni archi”; nel 1771 Nicola Venusio descrisse la “porta del cortile”. L’imperatore Federico II di Svevia, in onore della “buona memoria” del padre e della madre (Enrico VI e Costanza d’Altavilla), concesse numerosi privilegi all’Abate e nel 1221 concesse l’immunità agli abitanti del monastero, escluso chi si fosse macchiato di omicidio. Godendo del diritto d’asilo, era necessaria una delimitazione dei confini del monastero; una funzione svolta dalla cinta muraria e dagli ” ARCHI FLORENSI”.
* Studioso gioachimita