IL SALOTTO DAVANTI CASA

Le rughe erano i luoghi dove, specie d’estate, s’incontravano parenti ed amici. Ci si sedeva sui gradini davanti alla porta e si parlava per ore del più e del meno, come nel salotto di casa: dei figli, del lavoro, degli acciacchi, degli animali, dei conoscenti. Ognuno diceva la sua e il discorso diventava patrimonio di tutti i presenti. Solitamente le donne promuovevano quelle “sedute” per fare un po’ di pettegolezzo “spicciolo” che iniziava con: ‘a saputu? e finiva immancabilmente con…povarella. Intanto tutte si davano da fare a ‘ngulliare le calze ai ferri, a fare i pizzi all’uncinetto, ‘e ncollerate al tombolo, mentre le più giovani eseguivano geometrici ricami al telaretto. Non erano lavori veri e propri, ma neppure un passatempo: “una via di mezzo che coniuga lavoro e svago”, sosteneva Mariella Capinera che riuniva davanti casa sua ai Catoja, all’ombra del mastodontico palazzo De Luca dove era stata a servizio, le giovani del vicinato alle quali oltre che insegnare a lavorare, faceva i sermoni religiosi, essendo lei una monaca laica, che tutte chiamavo con rispetto “superiora”, pur sapendo che non apparteneva ad alcun ordine monastico. Gli uomini non prendevano parte attiva alla discussione, stanchi com’erano per avere lavorato in campagna l’intera giornata, ma ogni tanto qualcuno di loro interveniva, se chiamato in causa. Il salotto fuori casa veniva allestito, a cominciare da maggio, con la recita del Santo Rosario in onore della Madonna, proseguendo poi nel mese di giugno con il Rosario dedicato al Cuore di Gesù, ma vi rimaneva per i successivi mesi fino all’arrivo dei primi freddi d’ottobre, quando poi ci si rifugiava dentro, davanti al focolare acceso. Comunque quel modo di allargare la famiglia all’aperto portava una certa allegria e teneva unite le famiglie anche per quelle notizie “riservate” che si riuscivano a trasmettere da una parte all’altra della ruga. Ricordo, che al “ricorionatu” nel vaglio di casa mia, si univano anche i fidanzati, quelli che ancora, non si erano presentati ufficialmente ai genitori della fidanzata, ma facevano una specie di apprendistato amoroso nei pressi della casa, naturalmente tollerato dai genitori di lei. L’entrare in casa ufficialmente comportava una serie di impegni, primo fra tutti, la serietà nel fidanzamento e poi la sistemazione economica del maschio, che doveva garantire una vita dignitosa alla futura sposa. A quei tempi non c’erano limiti, ognuno sapeva tutto di tutti. In compenso c’era una grande umanità che affratellava amici e parenti e in nome di quell’umanità ci si ritrovava davanti casa, seduti ad un gradino o ad una sedia dalle gambe corte, a discutere delle tante cose che non erano certo secretate da misteri arcani.

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