LE PIETRE DEL MISTERO

di Luigi Basile

Cosa ci fanno e come vi sono arrivati lassù quegli enormi massi di roccia arenaria, quando tutta intorno la zona poggia su lastroni di granito silano, duro e grigio, riccamente strutturato da granelli di quarzo e di mica, che luccicano illuminati sin dal primo sole del giorno? Un mistero, che nessuno finora ha saputo svelare, anche se dalla cresta delle “Pietre del Melo” a quota 1.200 metri s.l.m. a sinistra guardando il Paese, s’intravvede lo Jonio, con le sue acque azzurro-cobalto, che mettono in risalto le imbarcazioni che solcano il mare davanti a Punta Alice. Quassù, raccontavano i nostri nonni, che a loro volta lo avevano appreso dai loro antenati, un tempo lontano, anzi lontanissimo, vi arrivava il mare. E n’è prova la presenza di conchiglie fossili di un’epoca non bene definita, che si trovano tuttora nella vicina “cava” di sabbia. Mentre qualcuno prova a giustificare il lavorìo che l’acqua piovana riesce a fare ancora sui quei massi di pietra da dove affiorano immagini inverosimili: occhi che scrutano il paesaggio sottostante; brocche che conservano l’acqua ad uso degli uccelli e degli animali d’ogni genere che passano, spostandosi da una parte all’altra di questa parte terminale dell’Altopiano Silano, che si affaccia sull’ex Marchesato. “Quelle pietre vorrebbero parlare, se solo conoscessero il linguaggio degli umani.” – diceva l’archeologo Gaspare Oliverio, che proprio lì sotto la sua famiglia possedeva un ricco e fruttuoso podere. E Gaspare Oliverio si che se ne intendeva di rocce suggestive e misteriose, che la crosta terrestre conserva nel tempo. Ma un’analoga postazione si ritrova in località “Acquafredda”, più a sud-est (quota 750 m.), a confine tra i comuni di San Giovanni e Caccuri, che in linea d’aria dista appena uno-due chilometri. Anche lì sabbia fine, conchiglie fossili e massi di roccia arenaria, che con il tempo hanno assunto sembianze umane. La cosa si ripete in direzione di Campana, dove il cosiddetto Elefante di Annibale in località “Incavallicata” pone agli studiosi l’identico dilemma. Cosa c’era in queste contrade nei millenni passati? Quelle conchiglie fossili che ancora vi si conservano intatte a quale era del mondo appartengono? E quei massi così “umani” cosa rappresentano? E se è vero che il mare bagnava queste contrade allora vuol dire che la superficie terrestre dell’attuale Calabria, presentava una forma concava molto più accentuata, che partiva da Sibari si addentrava verso le montagne della Sila fino ad allungarsi sul promontorio di Capo Colonna. Ma tutte queste illazioni appartengono alla preistoria; a noi non resta che supporre che mare e monti, un tempo, erano più vicini di adesso.

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