di Giovanni Greco
Vissuta al tempo dell’imperatore romano Diocleziano (284-305), grande persecutore dei cristiani, secondo la tradizione agiografica S. Lucia era una ricca giovane di Siracusa fidanzata ad un suo nobile concittadino. Al ritorno di un pellegrinaggio a Catania sulla tomba di sant’Agata, nel quale ottenne la guarigione della madre, decise di rinunziare al matrimonio e consacrarsi a Cristo. Denunciata all’arconte della città come cristiana dal suo fidanzato, fu arrestata, minacciata, torturata e infine trucidata. E’ privo di fondamento l’episodio di Lucia che si strappa gli occhi per sottrarsi al suo persecutore. L’emblema degli occhi nel piatto trova spiegazione nella devozione popolare che l’ha sempre invocata come protettrice della vista a causa del suo nome Lucia, da lux: luce, un segno e una promessa di luce, sia materiale, che spirituale. A San Giovanni in Fiore S. Lucia è stata fin dal lontano passato oggetto di particolare culto. Stando alle notizie forniteci da Francesco Cerminara, che nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento è stato, oltre che sagrestano della chiesa madre, anche procuratore delegato alla gestione delle entrate e delle uscite legate al suo culto e festività, la santa e vergine siracusana era prima venerata con «una statuetta a mezzo busto» posta sull’altare del Carmine nella navata di sinistra [entrando] della stessa chiesa. Nel 1887 venne deciso l’acquisto di una nuova statua, promuovendo una sottoscrizione tra i fedeli che fruttò 423 lire e 13 centesimi. Di questa somma 300 lire furono spese per l’acquisto della statua, 58 lire per «per l’aureola e il baciletto» e 28 lire e 60 centesimi per il viaggio a Napoli, dove il Cerminara si recò per comprare la statua con la collaborazione dell’avvocato Pasquale Benincasa, che risiedeva nella città partenopea. La statua fu sistemata in una nicchia della cappella del SS. Sacramento o di S. Francesco Saverio in chiesa madre. La cornice lignea fu realizzata da Antonio Biafora e fratelli Ottavio con 50 lire offerte dalla monaca di casa Maria Oliverio [Cupitu], figlia del notaio Pietro. Il 2 luglio 1889, festività della Madonna delle Grazie, alla quale è dedicata la chiesa madre, nel corso di una pubblica cerimonia preceduta da una processione che vide la partecipazione della popolazione, del clero cittadino e dei membri della Congrega dell’Annunziata con l’accompagnamento di «musica e spari», fu solennemente benedetta e inaugurata «in contrada Difesa» una fontana in onore della santa martire. L’acqua sgorgava da una roccia posta alla fine di un ripido e scosceso pendio, che nella parte alta era delimitato dal serpentone della Statale della Sila aperta solo qualche decennio prima e che attraversava il paese. Per la sua canalizzazione e la costruzione di un’edicola votiva con l’immagine della santa si spese la somma di 200 lire, che il Cerminara anticipò prelevandola dalla cassa della Procura di S. Lucia. A cura dello stesso procuratore fu fatta pure apporre una piccola lapide con una breve ed elementare poesiola con la quale s’invitava il passante a bere e ad implorare la luce degli occhi e dell’anima: «Rinfrescati e bevi/ pietoso devoto / e all’inclita santa / disciogli il tuo voto / che luce t’accresca / negli occhi e nel cor». La fontana, alla quale in tanti andavano ad attingere acqua per bere e per i servizi domestici essendo il paese ancora privo di un servizio idrico, era distante poche centinaia di metri dal Vallone Surice, che, insieme al rione Coschino, segnava a occidente i confini del centro abitato. Tra il 1930 e il 1933, successivamente alla realizzazione del progetto dei laghi silani, è stata costruita la “rotabile” per Trepidò che “passava” davanti alla fontana. Insieme al primo macello comunale fu allora costruita nelle vicinanze qualche casa, mentre tutto il resto era tutto un manto verde di orti. Nel 1963, a cura della «Amministrazione social-comunista» del tempo, la fontana è stata interamente «ricostruita» e allacciata alla rete idrica comunale. La poesiola è stata riscritta su una nuova lapide di marmo grigio e racchiusa tra incisioni di racemi, un ramo di palma e il piattino simbolico con gli occhi. Nel 2007, con i fondi regionali del Programma di Sviluppo Urbano [PSU] è stata oggetto di un altro più consistente intervento, che ha portato al completo rifacimento della vecchia edicola votiva, alla costruzione di una nuova fontana in granito e alla ristrutturazione della parte iniziale della vicina scalinata. Di antico è rimasto solo la vecchia lapide.