di Giovanni Greco
San Giovanni in Fiore ha festeggiato lo scorso mese il 488° compleanno. La sua nascita ufficiale, infatti, risale al 12 aprile 1530 e si deve all’abate commendatario Salvatore Rota. Alcuni, però, ne fanno risalire le origini alla “ascesa” in Sila dell’abate Gioacchino nel 1189 e alla fondazione del suo primo monastero. Dimenticando che nel confermare nel 1198 la donazione del tenimentum Floris, fatta quattro anni prima dal marito Enrico VI di Svevia, la vedova Costanza d’Altavilla, su suggerimento dello stesso Gioacchino, vietò a chicchessia di «costruirvi casa e porvi dimora». Pertanto, quella che per più di tre secoli ha animato la valle di Jure Vetere prima e il complesso abbaziale sopra le Junture dopo non è da considerarsi una nuova comunità di cittadini, ma solo una comunità monastica con un ruolo ben definito per i laici o secolari che la abitavano. Salvatore Rota era un chierico appartenente a una ricca e nobile famiglia napoletana con molte entrature nella Curia Romana, tanto che nel novembre 1521 ottenne da papa Leone X Medici in commenda il monastero di San Giovanni in Fiore con il suo vasto territorio. A differenza dei suoi tre predecessori, che non vi avevano mai messo piede, il patrizio napoletano venne certamente in Sila per rendersi personalmente conto della situazione e per valutare come da quella concessione potesse ricavare consistenti «frutti, redditi e proventi». Per fare questo si curò poco del monastero, da anni ormai in profonda crisi vocazionale ed economica, e rivolse la sua solerzia e attenzione soprattutto alla piena valorizzazione delle terre della commenda e a come maggiormente popolarla. Nel 1529, con l’obiettivo di richiamarvi altra gente, organizzò nei pressi del monastero per la prima volta la fiera, che da allora vi si terrà annualmente in occasione della festività di San Giovanni Battista, il 24 giugno. Nell’aprile 1530 ottenne a Mantova l’autorizzazione alla fondazione del paese e negli anni a seguire s’impegnò in una vigorosa azione di reintegra del patrimonio feudale del monastero. Nel 1533 fece predisporre la prima Platea con l’inventario di tutti i beni posseduti dall’abbazia florense in Sila e nel territorio circostante, imponendo il pagamento di un censo in denaro o del terragio in grano da portare nel magazzino del monastero. Venendo incontro alle sollecitazioni della Santa Sede, dedicò pure maggiori attenzioni alla chiesa abbaziale e alle strutture conventuali. Nel 1536 da Carlo V fu nominato “cappellano reale”. Mantenne la commenda fino all’agosto 1544, ma continuò ancora a interessarsi del borgo che aveva fondato e, insieme al cardinale presbitero Rodolfo Pio de Carpo, suo successore nell’amministrazione della commenda, riuscì ad ottenere da papa Paolo III Farnese l’istituzione della prima parrocchia cittadina. E’ morto nel 1549. La sua unica testimonianza rimasta sono gli stipiti di granito di una finestra sul lato meridionale del convento con da una parte la scritta «ABBAS SALVATOR [Abate Salvatore]» e dall’altra «ROTA MCCCCCXXIX [Rota 1529]». La finestra è ben visibile a chi si reca in visita alla Mostra di fotografie “Marra”, al Museo Demologico e al Centro Studi Gioachimiti. Sono in pochi a notarla. Sarebbe bene che in qualche modo ne fosse segnalata la presenza e che godesse di più attenzione. E sarebbe pure meritorio che, con il supporto dei tecnici della Soprintendenza ai Beni Artistici, nel vuoto incavo posto sopra l’arco ogivale d’ingresso della cappella di destra della chiesa abbaziale, che ora accoglie il simulacro di Gioacchino, fosse ripristinata l’iscrizione che nel 1536 il «patrizio napoletano e abate florense» vi fece apporre per ricordare ai posteri di essersi adoperato per il «restauro della basilica andata in rovina», di «averla adornata di immagini sacre e suppellettili», di «aver raddoppiato le entrate», di aver fatto rinascere l’abbazia e di avere disposto «la fondazione del villaggio e la sua denominazione». Altra testimonianza certamente più importante si trova nella chiesa domenicana della vicina Caccuri ed è costituita dalla bella statua lignea della Madonna del Soccorso posta nella nicchia sopra l’altare maggiore. Sul frontalino della base, con un’iscrizione che ricorda il dono della statua fatto dall’abate Rota alla chiesa nel 1542, è riprodotto anche il suo stemma, rappresentato da uno scudo con nel campo una ruota a otto raggi. Nei primi anni ’80 del secolo scorso a Salvatore Rota è stata intestata una strada panoramica, ma secondaria e caratterizzata ancora, a poco meno di un quarantennio, da magazzini, garages e da una sola unità abitativa. Sarebbe opportuno che, a cura del servizio toponomastico comunale, quella strada fosse dedicata ad altro personaggio e che il fondatore del paese fosse ricordato in una via o piazza del centro storico (piazza Livorno?) insieme agli altri nomi e luoghi importanti della storia sangiovannese.