IL SOGNO DI TOMMASO CAMPANELLA

di Giovanni Greco

Ricorre quest’anno il 450° anniversario della nascita di Tommaso Campanella, un Grande di Calabria come Pitagora, Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, S. Francesco di Paola, Bernardino Telesio, Luigi Lilio, Mattia Preti, Corrado Alvaro e altri ancora. Nato il 5 settembre 1568 a Stilo, in Calabria Ultra, da genitori di umili origini, il grande filosofo visse una vita drammatica e avventurosa. Entrato giovanissimo nell’Ordine domenicano, trascorse gli anni della formazione monastica nei conventi di Placanica, San Giorgio Morgeto, Nicastro, Cosenza e Altomonte, da dove, poco più che ventenne, inviso a superiori e confratelli, scappò nottetempo per rifugiarsi a Napoli. Nella città partenopea continuò a dedicarsi intensamente agli amati studi di logica, fisica, medicina e metafisica, alla lettura di autori antichi e moderni, entusiasmandosi agli scritti di Bernardino Telesio e componendo diverse opere, delle quali molte andate perdute. Tra il 1591 e il 1597 subì quattro processi per le venature non ortodosse che la Chiesa riscontrò in alcune delle sue opere. Nel 1598, dopo aver peregrinato alcuni anni per l’Italia, facendo la conoscenza a Padova di Galileo Galilei e a Venezia di Paolo Sarpi, venne arrestato, messo sotto accusa per il suo pensiero filosofico, sospettato di eresia e obbligato a ritornare a Stilo. Colpito dallo spettacolo miserando che presentava ancora la Calabria con le popolazioni esasperate dai troppi balzelli e dalle troppe oppressioni, pensò di ordire una congiura antispagnola che avrebbe dovuto portare «alla realizzazione del suo ideale religioso-politico: una repubblica comunista e teocratica, della quale, per superiorità intellettuale, doveva essere il legislatore e il capo». Organizzò diversi convegni clandestini, coinvolgendo personaggi di città e paesi vicini e facendo trattative e accordi con Hassan Cicala, il capo pirata turco-genovese che ambiva a fare della Calabria una provincia dell’impero ottomano. Nell’agosto del 1599 sembrava tutto pronto, con i congiurati decisi ad agire e il Cicala che incrociava nelle acque di Punta Stilo con una trentina di galee in attesa del segnale della rivolta. Ma, due congiurati tradirono, la cospirazione venne scoperta e troncata sul nascere. Dopo un tentativo di fuga, Campanella fu preso, imprigionato, torturato e processato a Napoli per eresia e per ribellione al governo spagnolo. Riuscì a salvare la vita, fingendosi pazzo, ma fu condannato dal tribunale del Santo Uffizio al carcere perpetuo. Trascorse in una cella di Castel Nuovo e «nell’orrida fossa» di Castel Sant’Elmo 27 anni, che ne fiaccarono il corpo, ma non la mente. In carcere, pur in condizioni difficili e disumane, continuò a scrivere componimenti poetici, dissertazioni politiche e filosofiche e compose anche La Città del Sole, la sua opera più importante, nella quale, attraverso un dialogo tra un marinaio genovese e un cavaliere dell’Ordine degli Ospitalieri, poi Ordine di Malta, tratteggia il disegno utopistico che coincide con il programma della congiura. Dal fondo della sua cella continuò a lanciare appelli e consigli a tutti i re e i principi della terra, «vaticinando l’imminente rinnovamento del mondo con il ritorno di esso ad un’unica religione e ad uno stato unico». Condensò il suo programma politico e di vita nei versi di un sonetto: «Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia». Uscito dal carcere nel 1626, grazie anche all’intervento di papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), negli anni che seguirono andò incontro ad altre traversie. Nel 1634, dopo il fallimento di un’altra congiura antispagnola tentata da un frate calabrese suo seguace, non sentendosi più sicuro a Roma, chiese aiuto all’ambasciatore francese e, travestito da frate minimo di san Francesco di Paola, con il falso ma significativo nome di fra Lucio Berardi, il cognome del mitico capobanda re Marcone, che ai suoi occhi rappresentava il nemico del dispotismo e il simbolo della ribellione, riuscì a scappare in Francia, dove fu accolto amichevolmente dal cardinale Richelieu. Il re Luigi XIII gli concesse una pensione e nel 1638, in occasione della nascita dell’erede al trono, il futuro Re Sole Luigi XIV, Campanella compose in suo onore l’Egloga per la portentosa nascita del Delfino, nella quale riafferma, con superbi accenti lirici, la fede giovanile in una palingenesi universale, la nascita di un mondo nuovo, che avrebbe dovuto assicurare la riforma della società, il regno dell’eguaglianza, della fratellanza, dell’amore e della pace fra gli uomini e far sperare nel rinnovamento della Chiesa. In Francia il grande filosofo calabrese mantenne sempre vivo il sogno non realizzato di vedere il Regno di Napoli e la Calabria liberate dal dominio spagnolo e in diverse occasioni rivolse istanze al Richelieu e al popolo francese, affinché prendessero iniziative in tal senso. Morì a Parigi il 21 maggio 1639.

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