MOLINO A CILINDRI FRATELLI BELSITO

di Saverio Basile

Un gioiello di archeologia industriale perfettamente funzionante

È entrato in esercizio nel 1923, ma ora rischia di finire altrove

Un raro esempio di archeologia industriale, ancora oggi perfettamente funzionante, è il Molino a cilindri Belsito in via Roma. Costruito nei primi anni venti del secolo scorso, in muratura a mattoni-pieni forniti dalla fornace della Stràgola, che la stessa famiglia Belsito gestiva con piglio industriale. Il molino a cilindri ad alimentazione elettrica entrò in pieno esercizio il 9 marzo 1923, quando la ditta Zàccaro di San Pietro in Guarano, su incarico del comune, utilizzando un salto d’acqua del fiume Garga da un’altezza di metri 71,70 cominciò a produrre energia elettrica nella sottostante centralina di Iacoi, con cui alimentava, nelle ore diurne alcuni opifici (segherie e molini) trasformati dall’alimentazione ad acqua in quella elettrica, mentre di sera procedeva a dare energia alla rete di pubblica illuminazione. Prima dell’arrivo dell’elettricità i molini ad acqua nel nostro paese erano cinque di proprietà di alcune famiglie benestanti del luogo: Benincasa, Caligiuri, Caputi, Iaquinta e Lopez (Lobis). Con l’arrivo dell’elettricità il molino elettrico dei Belsito mandò in pensione ben quattro opifici su cinque. Si salvò, ancora, per un breve periodo di tempo, soltanto il molino della famiglia Lopez ubicato al Ponte dell’Olivaro. I macchinari del molino a cilindri furono acquistati in parte presso la S.A. Meccanica Lombarda di Monza e parte presso la Golfetto di Padova. Un impianto avveniristico, per quell’epoca, in grado di procedere automaticamente alla selezione del grano, eliminando quasi completamente la parte cellulosica, crusca e crustello ed altre eventuali impurità. Successivamente il grano deposto nel palmento, dopo un’operazione di setacciatura, veniva lavato, asciugato e dopo 24 ore macinato con la selezione della crusca da una parte e della farina 0 o 00, a seconda dell’uso che se ne doveva fare, dall’altra parte. L’impianto arrivava a macinare ben 10 quintali di grano ogni ora. Al momento della separazione dei beni appartenenti ai sei fratelli Belsito, il molino venne assunto dai fratelli Luigi, Michele e Giuseppe che lo gestirono fino a tutti gli anni ’40-’50. Ultimamente passò alla gestione di Salvatore Belsito, figlio di Michele, che ora è giunto nella determinazione di metterlo in vendita. Ci accompagna per una visita esplorativa all’interno dell’opificio Michele Belsito, figlio di Salvatore, dipendente statale, con una passione ammirevole verso questi macchinari che continua a tenere puliti e ordinati, come se avessero smesso da poco di lavorare. “Mio padre è giunto nella determinazione di vendere tutto l’impianto – ci ha detto – ma a me stringe il cuore, sapendo che tra la prima guerra mondiale e la seconda, questo impianto è riuscito a sfamare centinaia, se non migliaia di sangiovannesi che producevano grano in piccoli appezzamenti di terreno.”  In effetti si tratta di un gioiello della tecnica molitoria di cent’anni fa: i cilindri sono ancora perfettamente lucidi, le cinghie di trasmissione ben tese, i cassettoni di legno ancora intatti e così le mole e il motore elettrico che azionava i vari ingranaggi. Ora smantellare questo antico, ma efficiente impianto e trasferirlo, magari altrove, sarebbe un’ulteriore privazione per il nostro paese, che perderebbe l’occasione di dimostrare la genialità dei nostri antenati, sensibili a confrontarsi con il progresso tecnologico che già nel secolo scorso avanzava spedito. Il Comune, la Camera di Commercio, l’Associazione provinciale degli industriali, il Parco nazionale della Sila, qualche fondazione bancaria o ente vario, potrebbero tutti insieme salvare questo “gioiello” della tecnologia ancora perfettamente funzionante, dopo cent’anni di attività molitoria e farne un museo di archeologia industriale. Un’occasione in più per attrarre gente nel nostro paese.

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