Un abile diplomatico alla Corte degli Sforza
Cecco Simonetta da Caccuri
Fu “primo ministro” del Ducato di Milano
di Teresa Bitonti
Per conoscere l’uomo è necessario conoscere il luogo di origine, anche se incerto, perché egli si firma su alcuni documenti Cecco da Rossano o da Policastro. Comunque è più accreditato che egli provenisse da Caccuri proprio perché la cittadina, a metà del 1400 ebbe un notevole impulso economico e urbano, dovuto anche alla protezione dei Simonetta a cui Cecco apparteneva. Caccuri è una delle più antiche cittadine dell’Alto Crotonese, risalente probabilmente al periodo greco e poi bizantino, importante per la sua posizione geografica: strategicamente posto nella media Valle del Neto, era di fatto la porta della Sila. L’antico abitato è posto su una rupe e domina un luogo orograficamente tormentato, da cui deriva probabilmente il suo nome, secondo l’etimologia greca, che ci riporta al significato di “impervio”. Arroccato in uno sperone, il Borgo antico si presenta in un tessuto urbano che conserva la struttura di un centro medievale dominato dal suo castello, con una cinta di mura che presentava tre porte: la Porta grande, la Porta piccola e la Porta nuova. Nel suo territorio sorsero tre monasteri basiliani: il Monastero di Cabria, quello di S. Maria dell’Abate Marco e quello di Santa Maria dei Tre Fanciulli, che poi passò all’Abazia di San Giovanni in Fiore insieme alla Grangia del Bordò. Caccuri fu Feudo dei Ruffo di Montalto, dei De Riso, degli Spinelli e dei Cavalcanti. La cittadina diede i natali a Francesco Simonetta, detto Cecco, segretario di Stato e primo cancelliere dei Duchi di Milano Francesco Sforza e del figlio Galeazzo Maria. Alla morte di Francesco (1401- 1466) Cecco resse il Ducato per il minore Gian Galeazzo, prima di essere arrestato da Ludovico il Moro, che si era impadronito del Ducato, venne poi condannato a morte, con l’accusa di aver cospirato contro il Moro. Vediamo brevemente il trasferimento dei Simonetta a Milano. Nel 1418 Francesco Sforza, ancora giovanissimo, sposa Polissena Ruffo, che morirà qualche anno dopo, ed ottiene in dote la signoria su alcune zone della Calabria tra le quali Rossano, Policastro e Caccuri. L’amministrazione di questi territori viene affidata ad Angelo Simonetta di Caccuri, lo zio di Cecco, che conquisterà la fiducia dello Sforza di cui seguirà l’ascesa al Ducato di Milano. Ma il personaggio importante rimane Cecco. Egli nasce probabilmente nel 1410 a Caccuri; viene istruito presumibilmente dai monaci basiliani, perché conosce l’ebraico, il greco ed il latino. Già dal 1418, ancora giovanissimo, Cecco entra al sevizio degli Sforza, richiamato dallo zio e insieme ai fratelli si trasferisce a Milano. Prosegue intanto gli studi di Diritto Civile e Canonico. Nel 1435 viene nominato consigliere di Renato d’Angiò, nel pieno della lotta con gli Aragonesi per la successione al trono di Napoli. Tra il 1438 ed il 1441 è ancora al seguito di Francesco Sforza, nella guerra tra Milano e Venezia per il possesso di Brescia e Bergamo. Nel 1444 emerge la sua spiccata propensione per la diplomazia; in alcuni documenti si sottoscrive “Cancelliere e Segretario”. Il 25 marzo 1450 Francesco Sforza sposa Bianca Maria Visconti e pone la sua corte a Milano. Cecco viene nominato “Cavaliere aureato” ed entra nella cancelleria che sarà per 30 anni di suo dominio, assoluto ed incontrastato. Attorno al 1451 sposò una dama milanese dal nome illustre, Elisabetta Visconti. Il matrimonio fu decisivo per Cecco, che aspirava ad entrare nella nobiltà milanese. Fu un legame solido, da cui nacquero otto figli, tutti destinati a brillanti carriere e matrimoni prestigiosi. Grande umanista e amante della cultura, la sua biblioteca doveva essere di notevole pregio, anche perché molti letterati e poeti si rivolgevano a lui come protettore e mecenate. La fama di Cecco è ormai affermata. Oltre a dirigere la Cancelleria fa parte del Consiglio segreto, riceve la cittadinanza onoraria di Novara (1456) alla quale seguiranno quella di Lodi (1469) e di Parma (1472). All’apice della sua carriera egli scrive le “Costitutiones et Ordines” della Cancelleria (1465). Pone così le basi alla burocrazia di Corte, un tassello della nuova concezione dello Stato che in quegli anni stava emergendo in varie regioni di Europa. L’8 marzo 1466 muore Francesco Sforza e gli succede il figlio legittimo: Galeazzo Maria debole ed inetto, in realtà è Cecco a governare. Nel 1477, dopo alterne vicende, Cecco riceve un “Diploma Miniato” che lo nomina Segretario Ducale (di fatto “Primo Ministro”). L’ascesa al potere di Ludovico il Moro segna la fine di Cecco Simonetta, già malvisto da questi, a cui vengono espropriati i beni, circa 200.000 ducati, una somma molto ingente; accusato di tradimento, viene incarcerato nel Castello di Pavia e poi, nell’ottobre del 1480, viene decapitato. In seguito venne seppellito nel Chiostro della Chiesa di S. Apollinare a Milano. Se gli Sforza furono gli interpreti dell’anima curtense dell’Umanesimo, Cecco Simonetta espresse i problemi, i contrasti, i dubbi e le speranze di un’età che aveva posto nell’attività dell’uomo una profonda fiducia di cambiamento. Ci si avviava verso una nuova visione dello stato moderno e Cecco ne era il visionario.
Foto: a sinistra Cecco Simonetta; a destra Francesco Sforza