UNA RIVOLTA CONTRO LE TASSE

Cinque morti e quindici feriti, il tragico epilogo di una rivolta che ha avuto come teatro il nostro paese. Il tutto accadde domenica 2 agosto 1925, ma qualcosa era già nell’aria sin dal mese di maggio, quando il sindaco dell’epoca, il notatio Andrea Romei, di estrazione borghese, ma ben voluto dalla popolazione, decise di mettersi contro i “signori” dell’industria, dando vita ad una azione tendente ad ottenere dalla SME (Società meridionale per l’elettricità) una giusta rivalsa per i danni che essa provocava al Comune di San Giovanni in Fiore, con lo sfruttamento delle acque nei bacini artificiali di Nocella e Trepidò, sottratte all’agricoltura. L’iniziativa del sindaco di San Giovanni in Fiore non piacque al prefetto di Cosenza, ma non piacque soprattutto  agli alti gerarchi dell’epoca, asserviti ai capitalisti dell’industria per cui il solerte “Don Andrea” fu deposto e sostituito con un commissario prefettizio, il dott. Giovanni Rossi, proveniente da Cosenza. La sua nomina fu continuamente contestata dalla popolazione sangiovannese, che non si sentiva degnamente rappresentata e come prima risposta il prefetto impose una serie di tasse sotto forma di dazio sul macinato, sulle uova, sul pollame, sulla legna da ardere e su altri generi di prima necessità. Iniziò così un vero e proprio braccio di ferro tra i popolani di San Giovanni in Fiore e il rappresentante dello Stato, che veniva salutato al suo arrivo in Municipio da fischi e lancio di uova marce e pomodori. Ma a giocare un brutto scherzo al commissario Rossi furono le donne del nostro paese, le quali nel pomeriggio del 26 luglio 1925, indignati per i continui aumenti delle derrate, organizzarono una imponente manifestazione, conclusasi proprio nell’ufficio del Commissario, dove il malcapitato rappresentante  prefettizio fu subbissato da cartocci di cenere e da una “pomodorata” che gli fece cambiare colore dai piedi fino ai capelli. Poi il commissario Rossi fu accompagnato di malo modo alla “Corriera” per Cosenza e da quel giorno egli non mise più piedi a San Giovanni in Fiore. Ma il prefetto non gradì quel gesto e nominò un nuovo commissario, un certo Farsetti, ritenuto un uomo dal “polso di ferro”, che si insediò nel nostro paese il 1 agosto. Farsetti, come peraltro aveva già fatto il suo predecessore, non solo confermò le gabelle imposte dal prefetto di Cosenza, ma pretendeva addirittura il pagamento entro tempi brevi, sicché l’esasperazione della popolazione era giunta ormai alle stelle. Perciò quella domenica mattina del 2 agosto 1925, dopo la messa delle 11 nella Chiesa Madre, uomini, donne e bambini, si ritrovarono tutti sotto le finestre del Municipio, ubicato nell’antico archicenobio  florense, dando vita alla più massiccia manifestazione di protesta che il paese ricordi. La risposta dello Stato non tardò a venire, E a darla in modo esplicito ed irresponsabile, fu proprio il commissario Farsetti, che si cinse della fascia tricolore, ordinando ai carabinieri di puntare i fucili sui dimostranti e di dar fuoco alle baionette. In breve la piazza antistante l’Abbazia si tinse di rosso con il sangue dei morti e dei feriti. Caddero, infatti, al suolo cinque persone: un uomo e quattro donne, due delle quali in avanzato stato di gravidanza. Nel registro dei morti di quell’anno, i loro nomi figurano come “morti in seguito a conflitto”. Il sacrificio di quelle cinque vittime rimase indelebile solo nella memoria dei loro congiunti, per i restanti si chiamavano: Saverio Basile, Marianna Mascaro, Barbara Veltri, Filomena Marra e Antonia Silletta. Undici, invece, furono le persone ferite, tra cui un ragazzo di dieci anni, Giuseppe Tiano, colpito ad un braccio e al polmone. Dal giorno della rivolta per un anno e forse più il paese rimase in “stato d’assedio”, con decine di carabinieri e soldati, armati di tutto punto, per imporre alla popolazione la volontà dello Stato fascista, che non tollerava ribellioni di sorta. Una pagina tragica della storia di San Giovanni in Fiore, che i giovani dovrebbero maggiormente approfondire, per essere ancora più consapevoli del nostro passato.

Katia Mancina

I nomi di quegli sfortunati concittadini furono immortalati in una lapide di marmo fatta affiggere  il 25 aprile 1973 dall’allora amministrazione di sinistra, guidata dal comunista  Giuseppe Oliverio. Oggi, per iniziativa di Impegnocivile, con il consenso dell’attuale amministrazione comunale, la lapide è stata interamente sostituita  conservando integra la motivazione a suo tempo evidenziata. A benedire la nuova lapide l’arcivescovo di Campobasso, mons. Giancarlo Bregantini che si è soffermato sul sacrificio di quei sangiovannesi caduti per la libertà.

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